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jueves, 1 de mayo de 2014

L’esempio di san Toribio Alfonso de Mogrovejo apostolo tra gli indios


Transcribimos un articulo referente a Santo Toribio de Mogrovejo como Apóstol de las Indias Occidentales, publicado el 01 mayo 2014 en el Observatorio Romano :

L’esempio di san Toribio Alfonso de Mogrovejo apostolo tra gli indios

A ciascuno nella sua lingua

di MARIO LUIGI GRIGNANI

Toribio Alfonso de Mogrovejo è un vescovo missionario e un santo che ha profondamente segnato l’evangelizzazione del XVI secolo e la vita della Chiesa latinoamericana. Canonizzato nel 1726 da Papa Benedetto XIII, Giovanni Paolo II nel 1983 lo ha dichiarato patrono dell’episcopato latinoamericano dopo che il concilio plenario latinoamericano del 1899 gli aveva attribuito il titolo di totius episcopatus americani luminare maius. Fissata la commemorazione liturgica nel calendario romano il 23 di marzo, la liturgia ambrosiana lo ricorda il 19 febbraio, mentre a Lima il santo arcivescovo viene festeggiato il 27 di aprile, giorno dell’entrata dei suoi resti mortali nella capitale del vice regno del Perú, la Nueva Castilla.

In importanti occasioni e documenti magisteriali si fa riferimento alla figura di san Toribio (come per esempio nell’omelia di Giovanni Paolo II a Santo Domingo del 12 ottobre 1984; nell’udienza generale di Benedetto XVI del 23 maggio 2007; nel documento conclusivo dela Conferenza di Aparecida). Eppure spesso, ancora oggi, può accadere che ci si riferisca a lui vagamente, senza saper collocare storicamente la sua figura e la sua opera.

Toribio Alfonso de Mogrovejo León (Spagna) nel novembre del 1538 e muore il 23 marzo 1606 (giovedì santo) a Saña (Perú). Figlio di una famiglia di giuristi, si forma nel diritto canonico e civile a Salamanca e successivamente viene nominato inquisitore presso il tribunale di Granada. Proposto al Papa Gregorio XIII dal re Filippo II come secondo arcivescovo di Lima, la Ciudad de los Reyes, vi giungeva l’11 maggio 1581, accolto dalle autorità ecclesiastiche e politiche e dal popolo in festa. Avrebbe retto il governo della grande arcidiocesi del Perú per quasi 25 anni.

Il suo primo biografo, Antonio de Léon Pinelo, come poi la storiografia successiva fino ai tempi più recenti, ha paragonato il Mogrovejo a san Carlo Borromeo. Il postulatore della causa di canonizzazione, padre Juan de Valladolid, nella lettera che da Roma nel 1672 inviava all’arcivescovo di Milano, cardinale Alfonso Litta, presentava Toribio quale hermano y compañero, e imitador en todo de nuestro san Carlos Borromeo , colui che in terra ambrosiana avevo messo in pratica i decreti di riforma tridentini, rendendo concreto l’ideale del vescovo pastore e riformatore. Anche Mogrovejo aveva agito seguendo le direttive del concilio di Trento. E i tre concili provinciali, le quattro visite pastorali e i tredici sinodi diocesani, esempi dell’esplicitarsi del governo episcopale ristabiliti dal concilio, rappresentano infatti lo scenario all’interno del quale si svolse l’opera pastorale di Toribio de Mogrovejo. È risultato dunque naturale accostarlo a san Carlo, e ciò è anche confermato da un lato dalla produzione legislativa toribiana in terra americana, dall’altro dalla formazione e dalla reforma del suo clero, con la fondazione del seminario e la cura della liturgia nella chiesa cattedrale di Lima.

Arrivato a Lima, Toribio si era dedicato immediatamente alla conoscenza della realtà americana e all’annuncio della buona novella in spagnolo e in quechua, la lingua generale dell’impero inca. Furono oggetto della sua cura episcopale e del particolare incarico a lui affidato di “Protettore degli indios”, la formazione della nascente nuova società nella quale confluivano le differenti culture insieme ai drammi della recente conquista, e l’evangelizzazione dei diversi popoli che abitavano l’immenso territorio andino della sua arcidiocesi, che ancora non conoscevano Cristo e il Vangelo. In questo contesto fu centrale la celebrazione nel 1582-1583 del concilio provinciale coi suoi decreti di reforma disciplinare e il catechismo coi suoi “complementi pastorali”. I primi, che contemplarono anche aspetti di ciò che oggi chiameremmo giustizia sociale, vennero approvati da Roma e da Madrid. I secondi si concretizzarono nel primo libro stampato nell’America del Sud spagnola: il catechismo dal titolo Doctrina Cristiana y Catecismo para la instrucción de los Indios. Esso era scritto nelle tre lingue coeve più usate, ovvero lo spagnolo, il quechua e l’aymará, e si componeva di tre parti: la prima catechistica per l’istruzione nella fede; la seconda penitenziale ovvero il Confesionario; l’ultima, il Sermonario, che attraverso la narrazione di alcuni episodi biblici facilitava la comprensione e l’assimilazione delle verità di fede.
Il testo venne usato in America latina fino agli anni Trenta del secolo scorso.

Alcune fonti narrano che durante i suoi viaggi, molto faticosi e pericolosi, venuto a sapere della presenza anche di un solo indigeno, che viveva in qualche luogo di difficile accesso, si recava a visitarlo, gli si rivolgeva nella lingua quechua e alleviava in qualche modo la sua indigenza, spesso lasciandogli il próprio pasto o, a seconda del caso, facendogli qualche dono utile, e sempre cercando di stabilire per lui un legame con la comunità cristiana più vicina.
Tutto ciò gli valse il titolo di Padre dei poveri accanto a quello di Apostolo delle Indie Occidentali.

Nel 1598 lui stesso dava notizia del suo lavoro di vescovo e di missionário in un memoriale inviato a Papa Clemente VIII, scrivendo:
«Dopo essere arrivato in questa arcidiocesi dei re dalla Spagna, nell’anno ottantuno, ho visitato molte e diverse volte il suo territorio.
Ho conosciuto e guidato il mio gregge, ho corretto e rimediato quello che mi è sembrato opportuno, e ho predicato nelle domeniche e nelle feste agli indios e spagnoli, a ognuno nella sua lingua, amministrando la cresima a un gran numero di persone (mi sembra un numero di circa seicentomila anime). Ho camminato e viaggiato per più di cinquemiladuecento leghe [una lega corrispondeva a circa cinque chilometri], molte volte a piedi, per cammini molto impervi e per fiumi, afrontando ogni difficoltà. Spesso a me e ai miei domestici sono mancati letto e cibo, e siamo entrati in territori remoti di indios cristiani, che di solito sono in guerra con gli infedeli, dove nessun prelato né visitatore era mai giunto».

pagina 6       -       L’OSSERVATORE ROMANO      -       giovedì 1 maggio 2014