Transcribimos un articulo referente a Santo Toribio de Mogrovejo como Apóstol de las Indias Occidentales, publicado el 01 mayo 2014 en el Observatorio Romano :
L’esempio di san
Toribio Alfonso de Mogrovejo apostolo tra gli indios
A ciascuno nella
sua lingua
di MARIO LUIGI
GRIGNANI
Toribio Alfonso de
Mogrovejo è un vescovo missionario e un santo che ha profondamente segnato
l’evangelizzazione del XVI secolo e la vita della Chiesa latinoamericana.
Canonizzato nel 1726 da Papa Benedetto XIII, Giovanni Paolo II nel 1983 lo ha
dichiarato patrono dell’episcopato latinoamericano dopo che il concilio plenario
latinoamericano del 1899 gli aveva attribuito il titolo di totius episcopatus americani luminare
maius. Fissata la
commemorazione liturgica nel calendario romano il 23
di marzo, la
liturgia ambrosiana lo ricorda il 19 febbraio, mentre a Lima
il santo
arcivescovo viene festeggiato il 27 di aprile, giorno dell’entrata
dei suoi resti
mortali nella capitale del
vice regno del Perú, la Nueva Castilla.
In importanti
occasioni e documenti magisteriali si fa riferimento alla figura di san Toribio
(come per esempio nell’omelia di Giovanni Paolo II a Santo Domingo del 12 ottobre
1984; nell’udienza generale di Benedetto XVI del 23 maggio 2007; nel documento conclusivo dela
Conferenza di
Aparecida). Eppure spesso, ancora oggi, può accadere
che ci si
riferisca a lui vagamente, senza
saper collocare storicamente la sua figura e la sua opera.
Toribio Alfonso de
Mogrovejo León (Spagna) nel novembre del 1538 e muore il 23 marzo 1606 (giovedì
santo) a Saña (Perú). Figlio di una famiglia di giuristi, si forma nel diritto canonico e civile a Salamanca
e successivamente
viene nominato inquisitore presso il tribunale di
Granada. Proposto al Papa Gregorio XIII
dal re Filippo II come secondo arcivescovo di Lima, la Ciudad de los Reyes, vi
giungeva l’11 maggio
1581, accolto dalle autorità ecclesiastiche e politiche e dal popolo
in festa. Avrebbe
retto il governo della grande arcidiocesi del Perú
per quasi 25
anni.
Il suo primo biografo, Antonio de Léon Pinelo, come poi la storiografia successiva
fino ai tempi più recenti, ha paragonato il Mogrovejo a
san Carlo Borromeo. Il postulatore della causa di canonizzazione, padre Juan de Valladolid, nella
lettera che da Roma nel 1672 inviava all’arcivescovo di
Milano, cardinale Alfonso Litta, presentava Toribio quale hermano y compañero, e
imitador en
todo de nuestro san Carlos Borromeo , colui che in terra ambrosiana avevo messo
in pratica i decreti di riforma tridentini, rendendo concreto l’ideale del
vescovo pastore e riformatore. Anche Mogrovejo aveva agito seguendo le
direttive del concilio di Trento. E i tre concili provinciali, le quattro visite
pastorali e i tredici sinodi diocesani, esempi dell’esplicitarsi
del governo episcopale ristabiliti
dal concilio, rappresentano infatti
lo scenario all’interno del
quale si svolse l’opera pastorale di
Toribio de Mogrovejo. È risultato dunque
naturale accostarlo a san Carlo,
e ciò è anche confermato da un
lato dalla produzione legislativa toribiana
in terra americana, dall’altro dalla
formazione e dalla reforma del
suo clero, con la fondazione del seminario
e la cura della liturgia nella
chiesa cattedrale di Lima.
Arrivato a Lima,
Toribio si era dedicato immediatamente alla conoscenza della realtà americana e
all’annuncio della buona novella in spagnolo e in quechua, la lingua generale dell’impero
inca. Furono oggetto della sua cura episcopale e del particolare incarico a lui
affidato di “Protettore degli indios”, la formazione della nascente nuova
società nella quale confluivano le differenti culture insieme ai drammi della
recente conquista, e l’evangelizzazione dei diversi popoli che abitavano l’immenso
territorio andino della sua
arcidiocesi, che ancora non conoscevano Cristo e il Vangelo. In questo contesto
fu centrale la celebrazione nel
1582-1583 del concilio provinciale coi suoi decreti di reforma
disciplinare e il
catechismo coi suoi “complementi pastorali”. I primi,
che contemplarono
anche aspetti di ciò che oggi chiameremmo giustizia sociale, vennero approvati da
Roma e da Madrid.
I secondi si concretizzarono nel primo
libro stampato nell’America del Sud spagnola: il catechismo dal titolo Doctrina
Cristiana y Catecismo para la instrucción de los Indios. Esso era scritto nelle
tre lingue coeve più usate, ovvero lo spagnolo, il quechua e l’aymará, e si
componeva di tre parti: la prima catechistica per l’istruzione nella fede; la
seconda penitenziale ovvero il Confesionario; l’ultima, il Sermonario, che
attraverso la narrazione di alcuni episodi biblici facilitava la comprensione e
l’assimilazione
delle verità di fede.
Il testo venne
usato in America latina fino agli anni Trenta del secolo scorso.
Alcune fonti narrano che durante i suoi viaggi, molto faticosi e
pericolosi, venuto a sapere della presenza anche di un solo indigeno, che
viveva in qualche luogo di difficile accesso, si recava a visitarlo, gli si
rivolgeva nella lingua quechua e alleviava in qualche modo la
sua indigenza, spesso lasciandogli il próprio pasto o, a seconda del caso,
facendogli qualche dono utile, e sempre cercando di
stabilire per lui un legame con
la comunità cristiana più vicina.
Tutto ciò gli
valse il titolo di Padre dei poveri accanto a quello di Apostolo delle Indie
Occidentali.
Nel 1598 lui stesso dava notizia del suo lavoro di vescovo e di missionário
in un memoriale inviato a Papa Clemente VIII, scrivendo:
«Dopo essere arrivato in questa arcidiocesi dei re dalla Spagna, nell’anno
ottantuno, ho visitato molte e diverse volte il suo territorio.
Ho conosciuto e guidato il mio gregge, ho corretto e rimediato quello
che mi è sembrato opportuno, e ho predicato nelle domeniche e nelle feste agli
indios e spagnoli, a ognuno nella sua lingua,
amministrando la
cresima a un gran numero di
persone (mi sembra un numero di
circa seicentomila anime). Ho camminato e viaggiato per più di cinquemiladuecento
leghe [una lega corrispondeva a circa cinque chilometri], molte volte a piedi, per
cammini molto impervi e per fiumi, afrontando ogni difficoltà. Spesso a me e ai
miei domestici sono mancati letto e cibo, e siamo entrati in territori remoti
di indios cristiani, che di solito
sono in guerra con gli infedeli, dove
nessun prelato né visitatore era
mai giunto».
pagina 6 - L’OSSERVATORE ROMANO - giovedì 1 maggio 2014