Santísimo Nombre de Jesús
IN
CATEQUESIS / BY FERNANDO BELTRÁN / ON 3 ENERO, 2015 AT 10:28 /
Hoy 3 de enero, celebramos el Santísimo Nombre de Jesús,
sólo ante el cual se dobla toda rodilla, en los cielos, en la tierra, en los
abismos, para gloria de la Divina Majestad.
Ha sido una buena noticia para toda la Iglesia. El nombre
más grande que existe bien merecía un día fijo en el calendario cristiano. Por
un tiempo iba unido a la fiesta de la Circuncisión del Señor, en la Octava de
Navidad, 1 de enero, pero luego fue sustituida por la de Santa María Madre de
Dios.
Una buena noticia, sí: un día, cercano a la Navidad, para
celebrar el Santísimo Nombre de Jesús.
Antes de que Dios se encarnara hubo otros que llevaron
ese nombre bendito: Josué (= Jesús), el sucesor de Moisés al frente de Israel;
Jesús hijo de Sirac, autor del Eclesiástico; Jesús hijo de Eliezer y padre de
Er, en la genealogía de Cristo. El significado siempre es el mismo: Yehósúa o
Yesúa, que quiere decir Yahvé salva. Pero sólo Jesucristo realiza lo que su
nombre significa, y lo hace en beneficio del hombre caído al que viene a
salvar.
El nombre de Jesús es elegido por Dios, según anuncia el
ángel Gabriel a María: Concebirás en tu vientre y darás a luz un hijo, y le
pondrás por nombre Jesús (Lc 1, 31). Luego, el ángel le explicará a José el
significado del nombre: María, tu mujer… dará a luz un hijo, y tú le pondrás
por nombre Jesús, porque él salvará a su pueblo de los pecados (Mt 1, 20-21).
Al llegar el momento, María y José cumplieron lo que el cielo les había
indicado: Al cumplirse los ocho días, tocaba circuncidar al niño, y le pusieron
por nombre Jesús, como lo había llamado el ángel antes de su concepción (Lc 2,
21).
Sólo Jesús podía reemplazar su nombre por el Yo personal,
y ese Yo tenía toda la fuerza del Dios que salva: Yo iré a curarle (Mt 8, 5),
anuncia al centurión que le pide la curación de su criado. Jesús realiza todos
los prodigios en su propio nombre. Hasta su propia resurrección: Destruid este
templo y yo lo levantaré en tres días (In 2, 19). Sin embargo, los discípulos
de Jesús sólo en su nombre podrán hacer prodigios: Echarán demonios en mi
nombre, hablarán lenguas nuevas, agarrarán serpientes en sus manos y, si beben
veneno mortal, no les hará daño. Impondrán las manos a los enfermos, y quedarán
sanos (Mc 16, 17-18). Es lo que hicieron los apóstoles Pedro y Juan, cuando el tullido
les pidió limosna, y Pedro le dijo: No tengo plata ni oro, te doy lo que tengo:
en nombre de Jesucristo Nazareno, echa a andar (Hch 3, 6). Pedro estaba
convencido de haber hecho un favor a un enfermo…, pues quede bien claro que ha
sido el nombre de Jesucristo Nazareno… Ningún otro puede salvar; bajo el cielo,
no se nos ha dado otro nombre que pueda salvarnos (Hch 4, 8-12).
Pablo, el enamorado de Cristo Jesús, en un arrebato de fe
y de exaltación espiritual, exclama entusiasmado ante el Señor que se despoja
de su rango, y toma condición de esclavo, y se rebaja hasta someterse a una
muerte de cruz: Por eso Dios lo levantó sobre todo y le concedió el
Nombre-sobre-todo-nombre; de modo que al nombre de Jesús toda rodilla se doble
en el cielo, en la tierra, en el abismo, y toda lengua proclame: Jesucristo es
Señor, para gloria de Dios Padre (Flp 2, 6-11).
(Mercaba.org)
SANTISSIMO NOME DI GESU'
3 gennaio
Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato
nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere
culto liturgico. San Bernardino, aiutato da altri confratelli, sopratutto dai
beati Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre, diffuse con tanto slancio e
fervore tale devozione che finalmente venne istituita la festa liturgica. Nel
1530 Papa Clemente VII autorizzò l'Ordine francescano a recitare l'Ufficio del
Santissimo Nome di Gesù. Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la
memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Martirologio Romano: Santissimo Nome di Gesù, il solo in
cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria
della maestà divina.
Il significato e la proprietà del nome
Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco,
come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni
eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia.
In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico;
rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima
natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere.
Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le
cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa”
uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega.
Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di
una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è
come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione.
Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il
nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa
vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti
i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani,
accanto a quello delle Entità Invisibili.
Il nome nelle società antiche
Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie:
1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro,
Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come
augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di
residenza o provenienza.
I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome
scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es.
P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di
appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia,
quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie.
Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli
maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal
quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza.
Il nome nella mentalità semitica
Per i semiti i nomi propri avevano un significato
intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla
etimologia od era evocato dalla pronuncia.
Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente
diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre
il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare
e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè =
Iahvé è salvezza, ecc.).
In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono
qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35,
16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a
causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni
(figlio del mio dolore)…”.
Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del
nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e
religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più
significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i
viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che
soppianta”, ecc.
Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto
dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in
qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta
a manifestarsi.
Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in
fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo
importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili
normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è
quella del loro nome.
Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e
rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi
nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome
del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo
intervenire a suo favore.
Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto,
che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che
possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge.
2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire.
Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto,
imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e
di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi
significati.
Il nome di Dio nella Bibbia
L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si
crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è
garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di
Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede
al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la
piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”.
Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua
missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter
comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto
principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio
degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con
espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di
Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome
entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi
sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto.
I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia
d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione
di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione
di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome).
Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare
la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è
stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a
sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo.
Il nome del Padre
Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei
credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente
rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre,
nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio
e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che
esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli
uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui.
Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo
titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della
comunità cristiana.
Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome
(Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il
tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo
nome e glorificando il proprio figlio.
Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa
azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono
comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2,
24).
Il nome del Signore Gesù
Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome
di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in
sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te
Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito
Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il
suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25).
Quindi il significato del nome Gesù è quello di
salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche,
citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi
spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio.
Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli,
appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono
ogni sorta di prodigi:
Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia
dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7,
22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel
tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”.
Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto
il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”.
Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio
“gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di
un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio.
Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di
Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2,
10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù,
gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio.
Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla
presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo
del Nome”.
La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e
credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti”
e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13).
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono
Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso
avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani
si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno
grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia
glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore.
L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e
dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che
introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e
l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo”.
Il culto liturgico del Nome di Gesù
Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella
Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto
liturgico.
Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di
Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da
altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e
Bernardino da Feltre (1439-1494).
Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine
Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione
ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo
XIII nel 1721.
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di
gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento,
quando fu soppressa.
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la
memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Il trigramma di san Bernardino da Siena
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata
facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai
colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati,
sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in
lotta fra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre
e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia
enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio
Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli
abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che
precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle
tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove
celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine
benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per
questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole
raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre
del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni,
come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure
di “Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un
significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come
fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i
dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che
rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la
felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della
fede, l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H,
tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata
sulla linea mediana dell’H.
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era
espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti;
3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6°
gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9°
sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti;
12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con
le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome
di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e
degli inferi”.Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in
tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più
tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di
rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”,
spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome
rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta
bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina,
la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente
in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s.
Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese,
pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal
senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così
detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.
La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come
suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss.
Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la
maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del
Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli
detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro
con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.
Autore: Antonio Borrelli
Chiesa cattolica
Chiesa del Gesù (Chiesa del Santissimo Nome di Gesù) - Rome
Publicado el 30 de jun. de 2012 por Brizbizel
Publicado el 30 de jun. de 2012 por Brizbizel
"Chiesa
del Gesù" is the mother church of the Society of Jesus, a Roman Catholic
religious order also known as Jesuits.
It was
first conceived in 1551 by Saint Ignatius of Loyola - the founder of the Jesuit
order.
Groundbreaking
- 1568
Completed
- 1580
Architects:
Giacomo Barozzi da Vignola and Giacomo della Porta
Music:
D. Zipoli - Sonata d'Intavolatura in mi minore per Ograno e Cimbalo - played by
Fabrizio Defraia.
Domenico
Zipoli (October 17, 1688 - January 2, 1726)
Around
1715 he was made the organist of the Church of Gesù, in Rome. At the very
beginning of the following year, he finished his best work, a collection of
keyboard pieces titled "Sonate d'Intavolatura per organo e cimbalo".